IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 3649/00
  proposto  da Tricarico Anastasio, rappresentato e difeso dall' avv.
  Gian  Luca  Lemmo  ed  elettivamente  domiciliato  presso lo studio
  dell'avv. G. Battista Santangelo in Roma, via B. Oriani n. 85;
    Contro  Azienda  universitaria  Policlinico  IIa  Universita'  di
  Napoli; Ministero della sanita'; MURST, rappresentati e difesi come
  in atti;
    Per l'annullamento, del provvedimento avente ad oggetto l'opzione
  per   l'esercizio   dell'attivita'   assistenziale  intramuraria  o
  dell'attivita'   libero   professionale   extramuraria,   ai  sensi
  dell'art. 5  d.lgs.  21  dicembre  1999, n. 517; di ogni altro atto
  indicato nell'epigrafe del ricorso:
    Visti gli atti e documenti depositati col ricorso;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle amministrazioni
  come da verbale;
    Nominato   relatore   il   consigliere   Bruno  Mollica  e  uditi
  all'udienza del 5 luglio 2000 gli avvocati come da verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                     F a t t o  e  D i r i t t o

    1.  - Il ricorso, proposto da docente univeritario afferente alla
  facolta'  di medicina e chirurgia ed in servizio presso Policlinico
  universitario,  investe vari profili della legislazione delegata di
  riforma  del  settore  sanitario: va allora definito e circoscritto
  l'oggetto  del giudizio, restando estranee allo stesso alcune delle
  argomentazioni  esposte,  in  quanto l'esame di questo giudice deve
  incentrarsi  esclusivamente  sull'oggetto diretto e immediato della
  contestazione  giudiziale,  e  cioe'  l'esercizio  dell'opzione, da
  parte  dei  sanitari  universitari,  per  l'attivita' assistenziale
  intramuraria   (definita   anche   come   "attivita'  assistenziale
  esclusiva")  o per l'attivita' libero professionale extramuraria ai
  sensi  dell'art. 5,  commi 7 e 8, d.lgs. 21 dicembre 1999 n. 517, e
  le  conseguenze  che  ne  derivano  alla  loro  posizione di status
  nell'una e nell'altra ipotesi.

    2. - Nel contesto dell'articolato gravame si delineano nettamente
  vari  ordini  di censure: alcune, intese alla demolizione dell'atto
  impugnato; altre, dirette ad ottenere una pronuncia di accertamento
  del  diritto  al non esercizio dell'opzione stessa: tutte si basano
  sull'assunto  della  incostituzionalita', sotto vari profili, della
  normativa che la detta opzione impone.
    Residua qualche ulteriore doglianza che non investe la "sostanza"
  dell'operato  dell'amministrazione  e,  come  tale,  si presenta di
  secondaria portata.
    La  doverosa  graduazione  delle  questioni  dedotte  conduce  ad
  assegnare    priorita'   assoluta   alle   censure   di   rilevanza
  costituzionale, ferma restando ogni ulteriore verifica di merito in
  ordine a quelle concernenti profili accessori: tale verifica potra'
  svolgersi  - anche in ragione di principi attinenti all'economia di
  giudizio  -  dopo  l'esame  della  Corte costituzionale, sempre che
  l'esito  del  medesimo, eventualmente in toto favorevole alla parte
  ricorrente, non renda del tutto carente l'interesse alla decisione.

    3. - In  punto  di  rilevanza,  va  ricordato  che  la contestata
  opzione e' imposta dall'art. 5, commi 7 e 8, del d.lgs. 21 dicembre
  1999   n. 517   cit.:   si'  che,  dovendosi  fare  necessariamente
  applicazione  delle dette disposizioni, il giudizio non puo' essere
  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della questione di
  legittimita' costituzionale.
    D'altro   canto,   il  provvedimento  in  questa  sede  impugnato
  costituisce  puntuale applicazione delle disposizioni medesime, con
  la  conseguenza  che  l'eventuale  eliminazione  delle stesse dalla
  realta'   giuridica   determinerebbe   il   soddisfacimento   pieno
  dell'interesse   sostanziale  azionato,  mentre  le  altre  censure
  sollevano  questioni  che,  ove  fondate,  assicurerebbero un grado
  minore  di  soddisfazione  all'interesse  stesso  e  si  presentano
  logicamente  subordinate  all'esito  eventualmente  negativo  dell'
  incidente di costituzionalita'.

    4. - Quanto  alla  completezza  del contraddittorio, in relazione
  all'eccepita  omessa  notifica  del  gravame  alla  Regione,  basti
  considerare   che   il  ricorso  risulta  notificato  all'autorita'
  emanante  il  provvedimento  impugnato  nonche'  ai  Ministri della
  sanita'  e  dell'universita': il che deve ritenersi sufficiente, ai
  fini  della  rituale  instaurazione  del contraddittorio, facendosi
  nella  specie  questione,  sostanzialmente,  di  riconoscimento del
  diritto  all'esercizio  di  funzioni  caratterizzanti  (in tesi) lo
  status  del  personale  sanitario docente universitario, anche alla
  stregua  dei  principi  di autonomia ex art. 33 della Costituzione:
  profili,  questi,  alla cui normazione - ed al relativo giudizio di
  costituzionalita' - la regione resta in definitiva estranea.

    5. - La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente
  infondata;   ed   invero,  la  sezione  dubita  della  legittimita'
  costituzionale  delle norme poste a base della censurata opzione, e
  delle  disposizioni  alle  stesse  sottese  (o  comunque connesse):
  ritiene  pertanto di dover sollevare, anche d'ufficio per i profili
  non  trattati  dalla  parte  ricorrente,  la  relativa questione di
  costituzionalita' per contrasto con gli artt. 3, 97, 33 e 76 Cost.

    6. - Viene   in   primo   luogo   in   considerazione   la  norma
  dell'art. n. 5,  comma  8,  del  d.lgs.  n. 517/1999, che impone un
  termine perentorio (che sia di tale natura non sembra revocabile in
  dubbio,  attese  le  conseguenze  derivanti  dall'omesso  esercizio
  dell'opzione  nel  termine  fissato, previste dall'ultima parte del
  comma  stesso)  per  l'esercizio  dell'opzione  ai  sensi e per gli
  effetti  di  cui  al  comma  7  tale  ultimo comma stabilisce che i
  professori ed i ricercatori universitari afferenti alla facolta' di
  medicina  e  chirurgia  optano  rispettivamente  per l'esercizio di
  attivita'    assistenziale    intramuraria   ai   sensi   dell'art.
  15-quinquies  del  decreto  legislativo  30  dicembre 1992 n. 502 e
  successive  modificazioni  e  "secondo  le  tipologie  di  cui alle
  lettere  a),  b), c) e d) del comma 2 dello stesso articolo" ovvero
  per  l'esercizio  di  attivita'  libero professionale extramuraria;
  tali   "tipologie"   fanno  espresso  riferimento  alle  "strutture
  aziendali  individuate  dal  direttore  generale  d'intesa  con  il
  collegio  di  direzione", con cio' ponendo una stretta correlazione
  tra l'individuazione delle strutture destinate all'attivita' libero
  professionale e l'esercizio dell'attivita' medesima.
    Tale  stretta correlazione e', del resto, logico corollario della
  "compenetrazione  tra  l'attivita' sanitaria assistenziale e quella
  didattico-scientifica  dei  docenti  universitari della facolta' di
  medicina,  che operano nelle cliniche e negli istituti universitari
  di  ricovero  e  cura", che costituisce "il dato caratterizzante le
  loro  funzioni ed il conseguente stato giuridico" (cfr. Corte cost.
  16 maggio 1997 n. 134).
    E nel senso della "inscindibilita'" delle attivita' assistenziali
  del  personale universitario da quelle di didattica e di ricerca si
  pone  anche  l'art. 5  del decreto ministeriale 31 luglio 1997, che
  reca  le  linee  guida  per  la  stipula  dei  protocolli  d'intesa
  universita'-regioni.
    Nel sistema normativo scaturente dall'art. 5, comma 7, del d.lgs.
  n. 517/1999   e   dall'art. 15-quinquies,   comma   2,  del  d.lgs.
  n. 502/1992,     e'     quindi     configurabile     un     obbligo
  dell'amministrazione  di  individuare  le strutture aziendali entro
  cui  va  esercitata  l'attivita'  assistenziale  intramuraria (o le
  soluzioni alternative, di cui all'art. 72, comma 11, della legge 23
  dicembre 1998, n. 448), si' da rendere concretamente disponibili le
  strutture  stesse  ed  i  servizi (in tal senso, cfr., anche, Cons.
  Stato,  VI  sez., ordinanza, 24 marzo 2000 n. 1431). E tale obbligo
  dell'amministrazione  e'  correlato  al  "diritto  all'esercizio di
  attivita'  libero  professionale  individuale ... nell'ambito delle
  strutture  aziendali"  (art. 15-quinquies,  punto  2,  lett. a, del
  d.lgs.  30  dicembre 1992, n. 502 del testo introdotto dall'art. 13
  del   d.lgs.   19   giugno  1999  n. 229)  da  parte  dei  sanitari
  universitari,   diritto   il   cui   esercizio   sembra  di  dubbia
  attuabilita'    in    assenza    della   detta   individuazione   e
  predisposizione delle strutture, non apparendo rilevante, sul piano
  della  effettivita'  del  diritto  stesso,  la mera possibilita' di
  tutela   nelle   competenti   sedi  nei  confronti  dei  funzionari
  inadempienti (ex art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998).
    Se    cio'   e'   vero,   sembra   ravvisabile   una   intrinseca
  contraddittorieta',  pur  nel  medesimo  contesto normativo, tra il
  comma  8  dell'art. 5  d.lgs. n. 517/1999 cit, - nella parte in cui
  introduce   il   censurato   termine  "perentorio"  per  l'opzione,
  omettendo  di  subordinare  o comunque correlare l'opzione medesima
  alla concreta disponibilita' delle strutture - ed il comma 7, nella
  parte  in cui (rinviando alle tipologie di cui alle lettere a), b),
  c),  d),  comma  2,  art. 15-quinquies  del  d.lgs.  n. 502/1992  e
  successive  modificazioni)  fa riferimento all'individuazione delle
  strutture  medesime,  con  conseguente  configurabilita',  per tale
  profilo,  di  un'ipotesi di contrasto tra la censurata disposizione
  dell'art. 5   comma  8,  del  d.lgs.  n. 517/1999,  sub  specie  di
  manifesta  irragionevolezza  ed  intrinseca  contraddittorieta' col
  sistema  normativo in cui si colloca e l'art. 3 Cost. - inteso come
  generale  canone  di  coerenza  e  ragionevolezza  dell'ordinamento
  (Corte cost. n. 204/1982) - nonche' col principio di buon andamento
  ex  art. 97 della Costituzione: quest'ultimo, in particolare, sotto
  il  profilo  della mancanza di proporzionalita' dei mezzi prescelti
  dal  legislatore  delegato  rispetto  alle  esigenze  obiettive  da
  soddisfare o alle finalita' da perseguire, nonche' sotto il profilo
  della razionale organizzazione dei servizi.
    Appare  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
  costituzionalita'  dell'art. 5,  comma  8,  del  d.lgs. n. 517/1999
  nella  parte  in  cui,  imponendo  di  compiere una scelta entro un
  termine    perentorio,   e   attribuendo   alla   mancata   opzione
  dell'interessato  un  significato  legale  tipico (equivalenza alla
  scelta  per  l'attivita' assistenziale esclusiva), non condiziona o
  correla l'esercizio dell'opzione alla concreta disponibilita' delle
  strutture,  per  contrasto  con gli artt. 3 e 97 della Costituzione
  sotto i profili indicati.

    7. - Il   collegio  dubita  nel  contempo  della  conformita'  ai
  parametri costituzionali ex art. 33 Cost. dell'art. 5, comma 7, del
  d.lgs.  n. 517/1999,  nella  parte  in  cui impone la detta opzione
  relativamente  al  personale sanitario universitario, in uno con le
  disposizioni allo stesso sottese (o comunque connesse, art. 5 commi
  da 1 a 6 e da 8 a 11, e art. 3 in parte qua) in quanto sembra porsi
  ex  se  - indipendentemente, cioe', dal profilo della necessita' di
  prescrizione della previa individuazione delle strutture - altresi'
  in  contrasto  con  il  principio  dell'autonomia universitaria nel
  perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici.
    Stabilisce  il  comma  7  cit.  che  "l'opzione  per  l'attivita'
  assistenziale  esclusiva e' requisito necessario per l'attribuzione
  ai  professori e ricercatori universitari di incarichi di direzione
  di struttura nonche' dei programmi di cui al comma 4".
    A  tacere della incidenza sullo stato giuridico degli interessati
  di  una  prescrizione  siffatta,  giusta  altresi'  le  conseguenze
  derivanti  alla posizione degli stessi (cfr., in particolare, commi
  4,  5  e 6 dello stesso art. 5), certo e' che i programmi di cui al
  comma   4,   infra   o  interdipartimentali,  sono  dichiaratamente
  finalizzati   "alla  integrazione  delle  attivita'  assistenziali,
  didattiche  e di ricerca, con particolare riguardo alle innovazioni
  tecnologiche  ed  assistenziali,  nonche'  al  coordinamento  delle
  attivita'  sistematiche  di  revisione  e valutazione della pratica
  clinica ed assistenziale".
    La  preclusione  della attribuzione della responsabilita' e della
  gestione  dei  detti  programmi  per  i  sanitari  universitari non
  optanti  per  l'attivita'  assistenziale esclusiva appare con tutta
  evidenza  lesiva di quel principio di compenetrazione tra attivita'
  sanitaria   assistenziale   e  attivita'  didattica  e  di  ricerca
  scientifica,  che  costituisce dato caratterizzante l'attivita' dei
  sanitari  universitari  e  che trova tutela (anche) nei principi di
  autonomia   didattico-scientifica   postulati   dall'art. 33  della
  Costituzione.
    Ma  la  stessa  opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva -
  tra  l'altro irretrattabile, a norma del comma 10 dell'art. 5 cit.,
  fatta  eccezione  per  limitate  specifiche ipotesi - non sembra in
  linea  con i principi di autonomia didattico-scientifica ex art. 33
  della Costituzione.
    L'opzione comporta l'assoggettamento dell'attivita' assistenziale
  del   sanitario  universitario  alle  determinazioni  organizzative
  assistenziali  del direttore generale dell'azienda ospedaliera (sia
  pure  d'intesa  col  rettore  o  su  proposta  del  responsabile di
  struttura  complessa;  cfr.,  in  particolare,  commi  1,  2,  5, 6
  dell'art. 5 cit.): dell'adempimento delle attivita' assistenziali -
  che pur "si integrano" con quelle di didattica e di ricerca a norma
  del  comma  2  dell'art. 5 - il personale universitario risponde al
  (solo)   direttore   generale,   ai   sensi   dello  stesso  comma;
  l'attribuzione  e la revoca degli incarichi di struttura semplice e
  degli  incarichi  di natura professionale e' disposta dal direttore
  generale  su proposta del responsabile della struttura complessa di
  appartenenza  del  sanitario  (comma 6); l'incarico di direzione di
  struttura  complessa  e'  attribuito  (e  revocato)  dal  direttore
  generale  sulla  base di (mera) intesa con il rettore, ai sensi del
  comma  5  (analogamente  a  quanto  disposto  per  il direttore del
  dipartimento ad attivita' integrata dall'art. 3, comma 4).
    Ne discende la possibile incidenza delle dette determinazioni del
  direttore  generale  sulle  attribuzioni  in materia didattica e di
  ricerca riservate all'istituzione universitaria (anche per cio' che
  concerne  l'attivita' di programmazione di tali aspetti); la stessa
  collocazione  funzionale assistenziale per effetto della esercitata
  opzione  - rimessa, in definitiva, al diretiore generale - ben puo'
  incidere,  in concreto, sulla liberta' d'insegnamento (si pensi, in
  particolare,  all'attribuzione di un incarico assistenziale che non
  consenta  un'adeguata  e  proficua  utilizzazione  di  strutture  e
  personale  per  esigenze  di  didattica  e ricerca nel quadro della
  programmazione del dipartimento).
    L'attivita'  di insegnamento appare, in sostanza, suscettibile di
  condizionamenti   in   relazione  alle  determinazioni  in  materia
  assistenziale  di  un  direttore  generale  che  ha  come obiettivo
  gestionale essenziale la realizzazione di un progetto di assistenza
  sanitaria  ospedaliera,  e  non certo di un programma universitario
  scientifico-didattico.
    Cio'  in  presenza  di  una  posizione  "marginale" assegnata dal
  sistema    normativo    in    esame   agli   organi   istituzionali
  dell'universita'  in  materia  di coordinamento degli interessi che
  sono   propri   dell'autonomia   dell'istituzione   (id   est,   di
  insegnamento e ricerca scientifica), posizione non bilanciata dalla
  previsione  di  partecipazione  (recte,  intesa)  del  rettore alla
  nomina  del  direttore  del  dipartimento ad attivita' integrata ex
  art. 3  comma  4,  quale  centro  di  collegamento  tra assistenza,
  didattica e ricerca.
    Se  e' vero, infatti, che tale organismo e' concepito in funzione
  del  detto  necessario coordinamento, e' pur vero che gli interessi
  istituzionali    dell'universita'   restano   comunque   ampiamente
  condizionati    dalle   scelte   gestionali   del   direttore   del
  dipartimento: e cio' in termini di programmazione, organizzazione e
  gestione  dell'attivita'  di  insegnamento  e  di  aggiornamento  e
  ricerca  scientifica,  che  la  Costituzione  assegna primariamente
  all'autonomia dell'universita' stessa.
    Ed  invero, a tacer d'altro, il direttore del dipartimento assume
  la  responsabilita' gestionale nei confronti del direttore generale
  in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle
  risorse  assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti,
  tenendo  "anche"  conto della necessita' di soddisfare le peculiari
  esigenze  connesse  alle  attivita'  didattiche e scientifiche, con
  cio'  conferendo,  nelle  scelte  decisionali, priorita' ai profili
  dell'assistenza  rispetto a quelli della ricerca e della didattica,
  in  violazione,  altresi',  del disposto dell'art. 6 lett. b) della
  legge delega (vedasi al riguardo il successivo punto 8), laddove si
  intende  "assicurare"  lo svolgimento delle attivita' assistenziali
  "funzionali  alle  esigenze  della  didattica e della ricerca", con
  inversione,  quindi,  del processo logico postulato dal legislatore
  delegante.
    Quanto   sopra   fa  dubitare,  anche,  in  via  derivata,  della
  conformita'  al  dettato  costituzionale  delle  norme  in  tema di
  organizzazione  interna delle aziende, di cui all'art. 3 del d.lgs.
  cit.,  per  i  riflessi  sulla  posizione  dei sanitari optanti per
  l'attivita'   assistenziale  esclusiva,  nella  parte  in  cui  non
  prevedono  una  partecipazione  diretta di organi universitari alle
  scelte   decisionali   in  tema  di  collegamento  tra  assistenza,
  didattica e ricerca.
    Sembra  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
  costituzionalita'  dell'art. 5  comma  7,  del d.lgs. n. 517/1999 e
  delle  norme  ad  esso  sottese,  o comunque connesse, in parte qua
  (art. 5,  commi  da  1 a 6 e da 8 ad 11 e art. 3) per contrasto con
  l'art. 33 Costituzione.

    8. - La  normativa  delegata  in  materia di opzione dei sanitari
  universitari  non  sembra  inoltre avere compiutamente realizzato -
  attese  le  evidenziate  incongruenze  del sistema - il disegno del
  legislatore  delegante  in  ordine  alla  "coerenza fra l'attivita'
  assistenziale  e  le  esigenze  della  formazione  e della ricerca"
  (art. 6,  lett.  b), c), della legge 30 novembre 1998 n. 419, anche
  in relazione a quanto sopra esposto).
    E'  ben  vero che la normativa medesina si occupa di tale profilo
  laddove  si  prevede  -  come  gia'  ricordato  al  punto  7  - una
  organizzazione  dipartimentale  al  fine  di assicurare l'esercizio
  integrato  delle  attivita'  assistenziali, didattiche e di ricerca
  (art. 3)  anche sotto l'aspetto della utilizzazione delle strutture
  assistenziali;  ma  sembra  al  Collegio  che debba ragionevolmente
  dubitarsi  della  effettivita'  della  richiesta  "coerenza" tra le
  dette  esigenze e l'attivita' assistenziale (oltre che per i motivi
  gia'   illustrati)  in  presenza  di  un  espresso  disposto  della
  legislazione  delegata  che non consente al sanitario universitario
  non    optante   per   l'attivita'   assistenziale   esclusiva   la
  preposizione, non solo alla direzione di strutture, con conseguente
  impossibilita'  di  impostazione  dei  programmi, delle modalita' e
  degli specifici contenuti della ricerca scientifica, ma addirittura
  ai  programmi  espressamente  finalizzati  alla "integrazione delle
  attivita'  assistenziali,  didattiche e di ricerca, con particolare
  riguardo alle innovazioni tecnologiche ed assistenziali".
    E  tale  limite  di legge non puo' essere posto nel nulla neppure
  dal   sistematico  rinvio  a  futuri  (ed  incerti  nei  contenuti)
  protocolli d'intesa.
    D'altro canto, non puo' esservi "coerenza" tra i detti profili se
  il  sistema e' "sbilanciato" verso la primaria considerazione delle
  esigenze  assistenziali;  ne'  il  legislatore delegato si e' mosso
  nell'ottica  di un rafforzamento dei processi di collaborazione tra
  universita' e servizio sanitario nazionale ex art. 6 lett. a) della
  legge  delega,  se  e'  vero  che  l'autonomia  dell'universita' ne
  risulta    ampiamente    "sacrificata",    giusta    le   pregresse
  considerazioni.
    Non  sembra  altresi' che la delega ex art. 6 lett. c) cit. abbia
  ad  oggetto  anche  la  modificazione  dello  stato  giuridico  del
  personale  sanitario  universitario:  nel  momento  in  cui  va  ad
  alterare, quantomeno per il personale universitario non optante per
  l'attivita'  assistenziale  esclusiva,  il  quadro  di  ragionevole
  compenetrazione  fra  attivita'  didattico-scientifica  e attivita'
  assistenziale,  siccome consolidato anche dal complessivo andamento
  della pluriennale legislazione in materia, si va invero ad incidere
  in  modo sostanziale sulla particolare connotazione della posizione
  dei sanitari universitari, che costituisce il "dato caratterizzante
  le  loro  funzioni  ed il conseguente stato giuridico" (Corte cost.
  n. 134/1997 cit.).
    L'art. 6  della  legge  delega,  alla  lett. c), si e' limitato a
  demandare   al   legislatore   delegato   l'emanazione  di  "idonee
  disposizioni  in  materia di personale" nel quadro dell'esigenza di
  assicurare  la "coerenza" fra l'attivita' assistenziale e quella di
  formazione  e  ricerca, e non ha inteso assolutamente consentire lo
  stravolgimento  dello stato giuridico dei sanitari universitari: ed
  invero,  l'oggetto  della  delega  e'  espressamente  e chiaramente
  definito nella prima parte del comma 1, laddove la delega stessa e'
  intesa   all'emanazione  di  decreti  legislativi  specificatamente
  "volti  a  ridefinire i rapporti tra servizio sanitario nazionale e
  universita'";   ed  in  tali  limiti  deve  mantenersi  l'attivita'
  normativa del legislatore delegato.
    Ne'  e' riferibile ai professori e ricercatori universitari - sia
  per  la  collocazione  sistematica  della norma che per il richiamo
  inequivoco   al  "solo  personale  della  dirigenza  sanitaria"  in
  servizio  al  31  dicembre  1998  -  il  criterio  direttivo di cui
  all'art. 2  lett.  q)  della legge n. 419/1998 cit., in ordine alla
  previsione di modalita' per pervenire all'esclusivita' del rapporto
  di lavoro quale scelta individuale.
    Sembra  pertanto ipotizzabile il contrasto della norma di opzione
  (e delle norme sottese o connesse, gia' sopra indicate) anche con i
  canoni costituzionali ex art. 76 della Costituzione.

    9. - Per  le  considerazioni  che  precedono, va conseguentemente
  sollevata  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
  comma  8,  del d.lgs. 21 dicembre 1999 n. 517 per contrasto con gli
  artt. 3  e  97  Cost.; dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999
  per  contrasto  con  gli  artt. 33 e 76 Cost.; nonche' dell'art. 5,
  commi  da  1  a 6 e da 8 a 11, e dell'art. 3 del d.lgs. n. 517/1999
  cit.,   in   parte  qua,  per  contrasto  con  gli  artt. 33  e  76
  Costituzione.
    Va  disposta,  pertanto,  la  trasmissione  degli atti alla Corte
  costituzionale,  con  conseguente sospensione del giudizio ai sensi
  dell'art. 23  della  legge  11  marzo  1953 n. 87, per la pronuncia
  sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.